La luce che c’è ora non sa di gennaio ma di primavera. Mentre le mie scarpe massacrano le foglie scricchiolanti e l’aria fredda intenerisce la carne, mi avventuro nella mia solitudine, facendo finta di aver voglia di stare con me. Una passeggiata al giorno la devi fare, altrimenti è depressione. Che poi la depressione per me andrebbe consigliata come unica soluzione all’inverno. In forma lieve, s’intende. Solo il tempo di morire, poi passa.
Ora che è un mese che sei via, la tristezza della tua partenza si è affievolita ma mancano almeno due mesi prima che possa cominciare a montare di gioia per il tuo rientro. Sono nel mezzo, dove fa solo freddo. Adesso sono un treno in corsa in mezzo alle Alpi costretto a frenare, piano piano, e poi fermarsi, davanti a una valanga di neve sui binari, nel silenzio. Un treno bloccato in mezzo alle montagne. I lamenti si sono acquietati, congelati lentamente, la tua mancanza ha lasciato spazio alla tua perfetta assenza. Non ho energia né per struggermi di solitudine né per immaginare come sarà quando sarai di nuovo qui. Devo tenermi calda, ho tepore solo per me. L’acqua ferma del lago mi ricorda che è da sciocchi agitarsi adesso.
Pensavo che fosse importante prendere appunti dei piccoli niente che mi succedono ogni giorno: un uomo in piazza Virgiliana che parla con gli amici tenendo un enorme corvo sul braccio, una maglia infeltrita per una lavatrice sbagliata - un disastro di portata magistrale - cosa ho mangiato al pranzo con i tuoi, magari il cibo di mamma ti fa venire nostalgia. Ma a parte che quando ci sentiamo sono talmente emozionata che non mi ricordo più tutte le cose che ho visto, neanche mi interessa più farti partecipare a questo morbido marsupio amniotico che è il mio inverno qui, lontano da te.
Prima ero di quelle che credeva nel bel gesto color pastello di condividere. Poi è passato anche quell’assillo. Condividere è un verbo complicato, assemblato in modo grossolano. All’inizio era *vidĕre ‘separare’ - e non vĭdēre, ‘vedere’, basta un niente grafico per differenziare le due cose - con un dis- che segna bene la distanza. Poi hanno sentito troppo vuoto e hanno aggiunto un con- che ricongiunge. Insomma, decidetevi, o ci si divide o si sta insieme.
Quindi ho deciso che basta condividere, quello che vivo, vedo, provo, vivrà nella mia carne e lo ritroverai sul mio corpo a primavera, quando faremo fiorire baci sulla nostra pelle. Fino ad allora niente. Non cercherò di gettare ponti per tutto l’Atlantico per farti sentire che sono là o sentire che sei qua. Perché tu non sei qua. Sei altrove. E io non posso essere altrove, devo stare qua, tutta quanta, molto vicina a me.
Farò come questi giorni d’inverno, che hanno perso memoria del sole feroce di agosto e non nutrono alcuna speranza nelle prime lunghe giornate di primavera. Osservo da vicino la perfetta meraviglia dei cicli e mi convinco che forse facciamo bene a non stare sempre insieme. È un’aberrazione climatica come quella che sta accadendo ora, che ci agitiamo se non nevica, se fa troppo caldo a novembre. Così un amore se non lo lasci riposare nel freddo si surriscalda, si crea un effetto serra sentimentale che soffoca i dialoghi, asfissia il desiderio, dissecca i baci. Le coppie - penso tutte, ma forse sbaglio - dovrebbero seguire l’andamento di un sano clima temperato. Stare molto vicine, splendere, fare l’amore, credere nella spensierata esplosione del sentimento e poi ritirarsi, lasciarlo riposare nelle radici, nella terra, facendo altro, separandosi e quando è tempo - perché c’è un tempo - ritrovandosi per una stagione nuova.
Separarsi contiene il verbo latino parāre, che significa preparare. A sua volta parāre è la forma durativa di parĕre, ‘partorire’, che originariamente significava ‘procurare’, ‘procacciare’. Separarsi è l’occasione per gli amanti di prepararsi, di trovare ognuno per sé la propria vita. Sono qui, amore mio, che preparo la mia solitudine, perché sia un posto caldo e spazioso dove accoglierti, quando tornerai.
Dopo aver letto quanto hai scritto mi chiedo: la solitudine è comunque un viaggio, nonostante non si sia mai partiti, oppure è un non-viaggio?
Io che vivo una separazione permanente (superata negli aspetti che riguardano l'anima) posso dirti che la cosa che ha fatto la differenza, più di tutto, sono stati i suoni: non cosa osservavo, ma cosa ascoltavo.
Quindi, solo un consiglio, evita il silenzio e circondati di suoni che ti fanno star bene... è come un "guardare" con altri sensi.